L’immagine strategica dei disturbi ossessivo-compulsivi emersi dai dati empirici ci mostra una percezione della realtà basata su una fobia che porta il paziente a reagire, attraverso il pensiero, formule o azioni compulsive, nel tentativo di ridurre tale paura. Le comuni tentate soluzioni adottate da pazienti ossessivo-compulsivi per gestire situazioni di panico consistono o nell’evitare quelle situazioni o nell’attuare compulsivamente particolari azioni abituali (rituali). Alcune situazioni, persone, oppure oggetti provocano così tanta paura che vengono completamente evitate. Molto spesso, in questi casi, il paziente chiede un aiuto esterno per controllarle ed avere la certezza di non doverle mai affrontare. I rituali messi in atto possono essere “riparatori” o “preventivi”: il primo viene messo in atto per intervenire e “riparare” dopo che è accaduto qualcosa di temuto, così da non sentirsi in pericolo, perciò è orientato al passato; il secondo è incentrato sull’anticipazione della circostanza o dell’evento spaventevole, in modo da favorire il miglior esito o evitare il peggiore. Recenti risultati empirico-sperimentali hanno rivelato che esistono due principali varianti delle azioni preventive: rituali razionali-preventivi e rituali propiziatori con pensiero magico. I rituali razionali-preventivi sono azioni specifiche che scaturiscono da una credenza irrazionale e che permettono al soggetto di prevenire le situazioni che lo spaventano, come il contagio di malattie, la perdita di controllo, la perdita di energia, e così via. I rituali propiziatori sono una forma di pensiero magico strettamente connesso a credo fatalistici religiosi, convinzioni derivate da superstizione, fiducia in poteri straordinari o nella fede, e così via. Gli atti rituali possono essere compiuti in prima persona dal paziente o possono anche coinvolgere terze persone o l’intera famiglia. Ci sono casi in cui vediamo che per dare sfogo alle azioni compulsive nel modo più rassicurante possibile o per evitare di entrare in contatto con la situazione temuta, il paziente chiede aiuto ai parenti affinchè controllino se ha eseguito il rituale nel modo giusto, o per proteggerlo dalla situazione di pericolo. In tali casi è necessario lavorare con la famiglia, la quale diventa inevitabilmente ostaggio del paziente. Questo genere di paziente ossessivo-compulsivo può diventare violento e minacciare i membri della famiglia di suicidio o di autolesione. La famiglia, in questi casi, deve diventare co-terapeuta e rispettare il compito di osservare attivamente senza intervenire. Per essere veramente rassicuranti i rituali ossessivo-compulsivi del paziente possono essere attuati seguendo una precisa serie numerica oppure possono essere associati ad un’immagine della mente o ad una specifica sensazione. In altre parole, la struttura dell’atto rituale può essere sia razionale, sia magica, in connessione con la fobia sottostante.
Dopo un pò, le tentate soluzioni eseguite dal paziente ossessivo-compulsivo, diventano patologiche e stabiliscono un sistema che si auto-alimenta, questo perché sia i rituali sia le tattiche di evitamento confermano la convinzione nella fobia di base, che a sua volta incrementa ulteriormente la necessità dei rituali e/o delle strategie di evitamento, e così via. Perciò il paziente si intrappola in un circolo vizioso in continua crescita. Ciò che si poteva considerare liberatorio per il soggetto diventa una vera prigione. I pazienti arrivano in terapia soltanto quando l’escalation tra la percezione fobica e l’esecuzione degli atti compulsivi li ha portati a vivere una vita impossibile. Prima di questo punto, essi vivono nella convinzione che il rituale sia un buon modo per controllare le proprie paure. Questa è la ragione per cui tali pazienti resitono così tanto al cambiamento.
Differentemente da come possiamo pensare, I rituali ossessivo-compulsivi non sono illogici ma seguono una logica non-ordinaria. Per modificare il loro ‘equilibrio’, quando elaboriamo strategie terapeutiche, dobbiamo entrare nella stessa logica non-ordinaria. Non si può persuadere un paziente ad eliminare le sue ossessioni o ad interrompere l’esecuzione dei suoi atti rituali attraverso spiegazioni razionali. È invece necessario entrare nella sua logica suggerendogli ‘un metodo più efficace’ per soddisfare le sue necessità e raggiungere lo scopo delle sue azioni, il che significa riuscire a controllare la sua paura. In questo modo si può penetrare la percezione del paziente e, seguendo la logica sottostante alla sintomatologia ossessivo-compulsiva, insieme all’utilizzo di un contro-rituale, è possibile riorientarla verso la sua auto-distruzione. In altre parole, la terapia deve seguire la logica apparentemente insensata che sta alla base delle idee e delle azioni del paziente. Quindi, l’intervento procede nel prescrivere al paziente uno specifico contro-rituale prestabilito, presentato in modo che si adatti alle particolari idee ed azioni patologiche ossessivo-compulsive. Se noi riusciamo ad arrivare a questo per mezzo delle prescrizioni, il paziente comincerà a mettere in dubbio la propria percezione. Il fatto che egli sia ora in grado di tenere sotto controllo le azioni patologiche seguendo le indicazioni terapeutiche, significa che ha la possibilità di giungere alla loro completa cessazione.
Il fondamento logico di tale effetto è quello di assumere la stessa logica della patologia persistente. Cerchiamo cioè di far ritorcere la sua forza negativa contro se stessa, attraverso stratagemmi escogitati specificamente. In questo modo si riesce a far subire un cambiamento al paziente senza alcuna contrapposizione con la sua posizione precedente, ma semplicemente tramite l’utilizzo di un contro-rituale volto ad interrompere la “dinamica auto-alimentante” del disturbo. Questa tecnica aiuta il paziente a riassumere il controllo sul sintomo. I pazienti ossessivo-compulsivi cominciano a compiere ripetutamente questo tipo di azioni al fine di possedere maggior controllo della situazione temuta, ma finiscono paradossalmente per essere intrappolati dal sempre crescente bisogno compulsivo di attuarle. Le contromosse che vengono adattate allo specifico rituale compulsivo del paziente indirizzano la forza dei sintomi verso l’auto-annullamento. Nella fase successiva cominciamo a guidare il paziente ad affrontare direttamente le situazioni temute in precedenza. Quando la terapia funziona bene, la persona vive la concreta esperienza di liberazione sia dalle compulsioni, sia dalle fobie.
L’ultimo passo consiste nel fornire al paziente una spiegazione completa del lavoro svolto ed il suo processo. La terapia breve strategica, con le sue tecniche apparentemente semplici, ci permette di raggiungere straordinari e, in qualche misura, persino sorprendenti risultati. Questo può apparire come qualcosa di magico, ma non è nient’altro che tecnologia avanzata. Come C. Clarke affermava “ una tecnologia avanzata, nei suoi effetti, non è dissimile da una magia”.
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